
Lavorare in un team a maggioranza femminile per i meno “aggiornati” è ancora sinonimo di “inferno”. Una buona fetta di persone, infatti, ritiene che le donne spesso siano le protagoniste dei gossip d’ufficio, divulgatrici di invidia, gelosia e frecciatine acide. Ma è davvero così che stanno le cose?
Dando manforte a un cliché ormai decisamente ammuffito le donne, si sa, “hanno il ciclo” e questo basta per ritenere che un gruppo composto da donne, prima o poi, viva momenti di panico e paura. In preda agli ormoni ognuno grida: “si salvi chi può!” e in un attimo il proprio posto di lavoro diventa un miscuglio tragicomico di lacrime e risate “isteriche”.
Donne in balia di emozioni incontrollabili sono come lupi mannari che al sorgere della luna piena trasformano le loro mani gentili in artigli pungenti pieni di rabbia, frustrazione e cattiveria. Un vero inferno pensare di essere uno fra i pochi uomini all’interno di una struttura del genere! Di certo, un maschietto, qualora resistesse per più di un mese in un’azienda a prevalenza femminile, meriterebbe una qualche onorificenza. Ma perché rimanere umili? Si meriterebbe di essere chiamato “Santo”.
Abbandonare vecchi cliché: una realtà possibile imitando modelli virtuosi
In questo siparietto divertente che ho cercato di ricreare c’è tutta l’ignoranza che dobbiamo sconfiggere. No, non degli uomini, non delle donne, ma di tutti. Senza farci troppo caso perpetuiamo modi di dire infelici che non fanno altro che alimentare modi di pensare altrettanto tristi e nefasti. Ma una soluzione c’è e non è nemmeno così lontana o difficile da attuare subito.
Basta guardare i modelli giusti ed è per questo che su tale argomento ho deciso di intervistare Francesca Farinelli, una donna e un’imprenditrice che ha fatto della solidarietà e complicità femminile il più grande punto di forza della sua azienda.
Francesca è titolare di Congredior una realtà fatta di ben 10 professioniste che da 20 anni organizzano congressi ed eventi coordinando i lavori dalla A alla Z, per far vivere un’esperienza WoW a tutti i loro clienti. Non a caso “Congredior” significa (dal latino): CAMMINARE INSIEME, INCONTRARSI. Ed è propriamente questo che Francesca con le sue collaboratrici sta facendo da molto tempo ottenendo risultati straordinari.
Un team di sole donne: un caso o una scelta?
Ho iniziato la mia attività professionale lavorando in un ambiente di solo uomini. Per sei anni ho lavorato all’università di ingegneria nel dipartimento di meccanica. Il direttore era un uomo, lo staff era composto da ben 15 uomini e io ero l’unica donna. Mi sono trovata benissimo in quel contesto, in cui ho avuto l’opportunità di seguire la guida di un leader molto abile e molto forte.
Lì ho imparato il senso della disciplina, del rigore e del duro lavoro. Un modo di fare forse un po’ militaresco che in certi casi portava a grandi risultati ma anche a tanto timore e paura di sbagliare o di non essere all’altezza.
Quando poi ho deciso di dedicarmi a Congredior, il fatto di creare un team di sole donne non è stato qualcosa di voluto, bensì totalmente fortuito. La mia non era una contro-reazione all’esperienza passata. Per quanto dura fosse stata, in quell’ambiente a prevalenza maschile io ero stata bene.
Il fatto è che la maggioranza delle persone che si candidavano per organizzare eventi erano e sono ancora oggi per lo più donne. Del resto, organizzazione, abilità relazionali e occhi allenati a vedere tutto sono le competenze “femminili” che portano ad avere molte candidate donne nel settore degli eventi.
Alla ricerca di uno stile di leadership vincente
All’inizio, ovviamente usavo il modello di leadership che avevo visto e imparato fino a quel momento. Ma sempre di più mi rendevo conto che quel modo di fare così rigoroso, serioso e severo non faceva altro che generare turn over. Le persone che inserivo nel team dopo un po’ se ne andavano a lavorare per la concorrenza oppure creavano imprese concorrenti alla mia.
Questo mi faceva male, ma al contempo non riuscivo a comprenderne il perché. Non mi davo pace, e mentre pensavo a quanto tempo avevo investito per formare e far crescere le persone che poi mi lasciavano sola, mi chiudevo sempre di più. Presa dalla delusione e dalla rabbia per un certo periodo ho iniziato a pensare che non valesse più la pena investire sulle persone. Iniziai a pensare che in fondo la gente è fatta così: ti usa quando ha bisogno e appena può ti pugnala alle spalle.
Stavo puntando il dito verso gli altri, se fallivo con il mio team la colpa era delle persone che avevo scelto. Niente di più sbagliato!
“Guardarmi allo specchio: questo è stato ciò mi ha permesso di ottenere successo”.
Nel 2008 Open Source Management, società di consulenza e formazione imprenditoriale, bussa alla mia porta. Senza troppi giri di parole il consulente di allora mi fece capire che per poter cambiare gli altri, prima di tutto sarei dovuta cambiare io. La malizia sta negli occhi di guarda – se vedevo il marcio in qualcuno, dovevo prima capire che tipo di “marcio” ci fosse in me.
Ho così capito che buona parte delle difficoltà che avevo con il mio staff erano risolvibili soltanto in un modo: guardandomi allo specchio. Ho deciso così di mettermi in discussione dalla testa ai piedi, di osservarmi da fuori, abbandonando qualunque tipo di giustificazione.
Mi ero scordata di me, delle mie doti, del mio potenziale. Andavo avanti con fermezza guidata solo dal dovere e dalla disciplina. Mi ero dimenticata che ciò che muoveva tutto il mio lavoro era fatto di fiducia, ascolto ed empatia. Era fatto di amore per le persone. Come sappiamo bene l’azienda è lo specchio dell’imprenditore e io dimenticandomi di tutto questo non avevo fatto altro che rendere la mia azienda un’azienda carente delle parti migliori di me.
Cosa rispondi quando dicono che le donne fra loro sono tremende, fanno gossip e alimentano invidie e gelosia?
Dico che è vero se chi sta a capo del gruppo lavora e coltiva quelle parti di loro. Funziona così che ci siano uomini o donne nel team. Il tutto dipende su che cosa ha deciso di concentrarsi il leader di quel gruppo. Se i tuoi occhi sono pieni di invidia stimolerai l’invidia, se tu sei il primo ad alimentare il gossip, avrai un’azienda in cui il gossip regna sovrano.
OSM mi ha fatto capire che io stavo guardando con occhi sbagliati me stessa e di conseguenza stavo guardando con gli occhi sbagliati anche tutto il gruppo. Quando l’ho capito sono riuscita a fare un salto quantico, prima come persona e poi anche come imprenditrice. Ho iniziato a stimolare solidarietà, complicità, senso di appartenenza senza quasi rendermene conto. Mi sono ritrovata dall’avere un’azienda all’avere una vera e propria famiglia accanto.
Per queste ragioni ho sentito il grande impulso poi a contribuire: volevo essere per altre persone ciò che OSM era stata per me. Ed è così che ho deciso di avviare una filiale di OSM nella mia città, di aprire OSM PARTNER ANCONA.
La diversità crea sviluppo: rimaniamo aperti all’altro, alle differenze e al confronto.
Oggi dopo 20 anni abbiamo inserito il primo uomo in Congredior, il primo di una lunga serie perché credo che non si debba mai smettere di mettersi alla prova. Con le donne ho avuto successo come leader, ora è tempo di aprirsi e sperimentare nuovi lati di me. Tutto il gruppo è stato felice di accogliere il nuovo collega, un ragazzo straordinario che so che ci darà moltissime soddisfazioni!
Le donne insieme hanno un potere infinito ma non dimentichiamoci mai che è la diversità a creare sviluppo. Cerchiamo sempre la cooperazione, il confronto con ciò che è “lontano” da noi abbattendo il comfort e sperimentando nuove difficoltà per diventare sempre un po’ “di più”. D’altronde è da lì che poi emerge e si sprigiona tutto il tuo vero potenziale.