
Dopo oltre 20 giorni, la guerra tra Israele e Palestina non accenna a calmarsi. Anzi, più passa il tempo più ulteriori importanti attori potrebbero esserne coinvolti: Stati Uniti, Iran, Turchia, Libano.
Lasciando da parte le simpatie che ognuno di noi potrebbe avere (chi è pro-Palestina rispetto a chi è pro-Israele) proviamo a fare un passo indietro e a capire che cosa sta davvero succedendo, chi guida questa crisi e che cosa è lecito aspettarsi nei prossimi mesi.
Iniziamo con alcuni fatti incontrovertibili.
Lo Stato di Israele è nato subito dopo la Seconda Guerra Mondiale tramite una concessione fatta dall’impero britannico che ha assegnato alla diaspora degli ebrei dei territori che in origine appartenevano ai Palestinesi. Una parte di questi territori sono stati acquistati, un’altra è stata assegnata senza che le persone che abitavano il luogo potessero opporsi. Da qui è nata un conflitto mai davvero risolto tra i Palestinesi prima (e in seguito i Paesi confinanti con lo stato ebraico) e Israele. Questi ultimi molto più forti sotto il piano militare, nel tempo hanno reagito alle aggressioni annettendo via via sempre più territori, non solo di proprietà dei Palestinesi ma anche del Libano (le Sheba Farms) e della Siria (le alture del Golan). Su questi territori si sono impiantati coloni israeliani che via via hanno spostato o fatto migrare ulteriori palestinesi creando una situazione sempre più complessa e di aperto conflitto tra i Palestinesi e gli Israeliani.

Nel 1993 grazie all’abile mediazione dei Norvegesi, il Primo Ministro Israeliano Itzak Rabin firmava un accordo di pace con Yasser Arafat che rappresentava i Palestinesi. Il trattato prevedeva il reciproco riconoscimento e una sorta di coesistenza tra i due attori.
Sfortunatamente un estremista israeliano assassina Rabin nel 1995, assestando un colpo durissimo a tutto il processo e si finisce per ripiombare in una situazione di dissidio. A Rabin succedono prima Sharon, poi Netanyahu e, infine Barak.
Nel 2000 a Camp David negli USA Barak fa una proposta molto importante ad Arafat che prevedeva il ritorno alla Palestina di diversi territori, una compensazione economica per i Palestinesi che non sarebbero stati in grado di tornare, la sovranità diretta su alcuni luoghi sacri. È una proposta davvero di valore, ma Arafat clamorosamente rifiuta e si ritira da ogni trattativa. Questo è stato il momento in cui più si è più arrivati vicino alla pace e rimarrà, secondo chi scrive, il PIU’ GRANDE ERRORE COMMESSO DAI PALESTINESI.

Si piomba nel caos e alcuni attacchi suicidi dei Palestinesi nei mesi successivi scatenano l’ira di Israele. Non si fanno più progressi e anzi in alcuni casi si riprende a combattere.
Arafat muore nel 2004 e nel 2005 gli Israeliani, pur di interrompere le ostilità, in modo unilaterale decidono di ritirarsi dalla Striscia di Gaza e da diversi dei territori occupati. Lo fanno affrontando le ire dei propri coloni che in molti casi devono lasciare tutto quello che hanno costruito. Siamo ancora ben lontani dalla pace, ma è sicuramente un passo importante nella giusta direzione.
Il destino, però, fa sì che ad Arafat nel 2006 succeda Hamas che addirittura disconosce tutti i precedenti accordi e il diritto stesso dello Stato di Israele ad esistere. Si riprende a combattere e da lì non si fanno più passi in avanti verso la pace. I continui attentati hanno portano lo Stato di Israele a irrigidirsi e alla fine torna al potere l’uomo forte, Netanyahu, che prende posizioni via via sempre più estreme. Nessuno può dire che gli Israeliani non ci abbiano provato a sistemare le cose, soprattutto negli anni che vanno fino al 2005. Non solo davanti si sono trovati un muro inamovibile, ma spesso anche una controparte accecata e spesso assetata di sangue. Conoscendo questi retroscena si può capire come mai Israele abbia sviluppato oggi una posizione tanto dura e intransigente.
Certo gli ultimi 15 anni non sono stati facili nemmeno per i Palestinesi che, di fronte alla rinnovata intransigenza di Israele, si sono visti sempre di più sottrarre ulteriori territori, essere oggetto in alcuni casi di vere e proprie persecuzioni, raid, bombardamenti e ripercussioni pesantissime ogni volta che qualche testa calda palestinese commetteva un’azione ostile. L’ultimo decennio per loro è stato durissimo. Non è difficile comprendere come anche la loro posizione sia diventata sempre più intransigente e ostile.
Israele, però, non si deve difendere solo dagli estremisti palestinesi. Tra i Paesi confinanti ha trattati di pace solamente con Giordania e Egitto. Ha contese territoriali e guerre mai terminate con Siria e Libano e soffre un’ostilità particolarmente forte con uno dei principali attori del Medioriente, l’Iran. Si potrebbe dire che, dopo Israele e Turchia, l’Iran sia il terzo player più forte militarmente nella regione. Non è un segreto che l’Iran negli anni ha sostenuto il Libano e la Siria, due dei più acerrimi nemici di Israele con forniture di armi, denaro e tecnologie militari. Il tutto perché le potessero dirigere verso Israele. E quest’ultimo, dal canto suo, non si è certo trattenuto facendo spesso incursioni segrete in Iran, colpendo i loro scienziati, il suo programma nucleare e bombardando anche i loro soldati in Siria.
Voci di corridoio dicono che nel 2011 con l’esplosione della Primavera Araba in Siria e la rivolta nei confronti di Assad (il legittimo Presidente Siriano, odiato dall’Occidente, ma comunque eletto regolarmente), gli israeliani abbiano sostenuto economicamente e militarmente non solo i ribelli siriani ma anche il gruppo dell’ISIS (esistono numerosi report qui e là sul web di leader e militari dell’ISIS che sono stati curati negli ospedali di Israele durante la guerra ttps://foreignpolicy.com/2014/06/11/exclusive-israel-is-tending-to-wounded-syrian-rebels/). Un classico caso de “io sono amico del nemico del mio nemico, anche se siamo su posizioni completamente diverse”.
Se uno ci riflette un attimo è facile da dimostrare: nonostante l’ISIS, nei momenti di sua massima espansione, controllasse i più importanti valichi di frontiera tra Israele e la Siria, non ha mai attaccato né bombardato le posizioni israeliane.
Anche se tutti dobbiamo essere inorriditi dalle immagini di ragazzi israeliani ammazzati da Hamas o dalle centinaia di bambini di Gaza uccisi dai bombardamenti israeliani, dobbiamo capire che questa brutta storia ha inizio molto prima e che, più che mai oggi, più che tifoserie in un senso o nell’altro, fondamentalismo religioso o ulteriori bombardamenti o guerre, servirebbero uomini forti che lottassero per la pace. Sì, perché gli uomini forti non lottano per la guerra ma per la pace. Come Rabin, come i mediatori di Oslo, come Barak e come, per un periodo di tempo della sua vita Yasser Arafat.
E questo è l’augurio che chi scrive questo articolo si fa per ognuno di noi: che noi si riesca ad essere uomini forti, uomini che lottano per la pace.
Allora non solo il Medio Oriente, ma anche il mondo, tornerà a fiorire.